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    Con la nazionalizzazione dell’industria cinematografica (agosto 1919) è decretata ufficialmente in Unione Sovietica la fine del cinema privato e l’inizio di una delle più fiorenti stagioni della nuova arte. Lenin capisce l’importanza del cinema come mezzo di propaganda, e preme per formare in tempi brevi le strutture per la formazione di una nuova generazione di artisti, al servizio della cronaca rivoluzionaria. L’immenso territorio del nuovo Stato è percorso dai treni che trasportano, anche nei luoghi più impervi, le attrezzature per la proiezione dei cosiddetti film di battaglia. Sono veri e propri film di agitazione (agitka), che propagandano la rivoluzione bolscevica nelle campagne e nelle steppe dell’URSS, e che purtroppo oggi sono andati per la maggior parte distrutti.
    La svolta al cinema di matrice sovietica è data dalla NEP (Nuova Politica Economica), che in linea con la tattica di Lenin della ritirata strategica, reintroduce alcuni meccanismi di produzione borghesi. Questa politica permette al cinema, pur restando in mano allo Stato, di non allontanarsi dalla logica del profitto, costringendo gli esercenti ad assecondare i gusti del pubblico. I film prodotti in Russia non riescono a porsi come veri concorrenti ai film stranieri (fra cui i richiestissimi film storici italiani) che continuano indisturbati a dominare il mercato. Dei primissimi anni venti sono pochi i film locali ad avere un grande successo popolare. Ricordiamo I Diavoletti Rossi girato in Georgia dal regista Ivan Perestiani nel 1923; Aelita, una commedia fantascientifica del ’24 tratta da un romanzo di Tolstoj e realizzata da Jakov Protazanov. Dietro al tentativo promosso dalla NEP di attirare le masse del pubblico e riempire le sale, si formano i nuovi quadri registici di un’avanguardia ricca e prolifica, che avranno un ruolo importante non solo nell’ambito della propaganda rivoluzionaria, ma soprattutto nell’evoluzione tecnica e artistica del mezzo cinematografico. Ed e’ proprio non chiudendo le porte all’allora importante film americano, non discernendo dall’insegnamento basilare di Griffith, che un’intera generazione di nuovi talenti riuscirà a dare vita a quella che molti storici del cinema hanno battezzato “la grande stagione del muto”.
    Grazie a quello che ben presto viene chiamato americanismo, per indicare un dinamismo non presente nelle vecchie pellicole sovietiche, la nuova classe di registi si appropria di quel modo nuovo di tagliare le immagini, accorciare i campi, segmentare le azioni avventurose, trasformandole in una nuova forza espressiva.

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    Fra i protagonisti del nuovo corso sovietico spicca il nome di Lev Kulešov (1899-1970), che non a caso coniò lo slogan: “Abbasso il film psicologico russo! Ora dite evviva ai polizieschi americani e alle gags”. Lev Kulešov dopo essersi cimentato nella pittura, si dedica con passione al cinema, cominciando, subito dopo la Rivoluzione, una intensa attività di ricerca e tecnica sul montaggio. Legato indissolubilmente al suo nome è il concetto secondo cui una singola inquadratura non ha significato di per sé, ma solo in rapporto a quelle che la precedono e a quelle che la seguono (effetto Kulešov).
    Pur avendo a disposizione mezzi ridotti, può allestire un laboratorio sperimentale che vede fra gli allievi personaggi come Barnet, Pudovkin, Esser Gub. D’altra parte la sua vera passione è la sperimentazione e l’insegnamento, più che la realizzazione di film veri e propri. “Formare uomini è più appassionante che fare film” confessa Kulešov. Uno dei suoi più illustri allievi, come abbiamo accennato, è Pudovkin che ha addirittura sei anni più del maestro. E ciò a dimostrazione del fatto che Kulešov nasce già maestro; lo è per la sua straordinaria capacità di teorizzare, di vedere oltre i limiti della cinematografia sovietica, stanca erede della produzione prerivoluzionaria. Pudovkin dirà di lui: “Noi facciamo film, Kulešov ha fatto il cinema”.
    Al centro del suo interesse è il cinema americano, il saper far recitare gli attori come se si trovassero nella realtà e non in un palcoscenico, la straordinaria capacità di creare suspence e gags.
    Con lui crollano i tradizionali canoni del cinema sovietico, mettendo fine agli statici melodrammi borghesi, a favore dei modelli dinamici americani.
    Tra i suoi film più noti ricordiamo Le Straordinarie Avventure di Mister West nel Paese dei Bolscevichi (1923), una commedia satirica piena di gags ed esperimenti di tecnica cinematografica, girata con i suoi allievi e in perfetto contrasto con il cinema pseudo-psicologico della produzione russa. La pellicola è incentrata sulle figure di due americani, un distinto borghese e un cowboy, che vengono a Mosca convinti di trovare complotti politici ai loro danni. Indimenticabile la scena, che è un’esilarante parodia del rodeo, in cui il cow boy, sparando all’impazzata, insegue su un tram un gruppo di motociclisti.

    Vsevolod Ilarionovich Pudovkin (1893 - 1953)


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    Pudovkin ha trentatré anni quando nel 1926 realizza La Madre (Mat'). E' senza ombra di dubbio il suo capolavoro, al pari della Corazzata Potëmkin per Ejzenstein. La vicenda del film, che si svolge nel 1905, narra di Nilova, madre di Pavel, un operaio rivoluzionario. La donna involontariamente causa l'arresto del figlio. Tuttavia Pavel, proprio mentre Nilova comincia a conoscerne e a condividerne le idee, riesce ad evadere. Durante un corteo di scioperanti l'operaio, sfilando con una bandiera rossa, viene colpito a morte dalle guardie a cavallo dello zar. Nilova sconvolta dal dolore ma fiera del figlio, raccoglie la bandiera e sfila in testa al corteo. La trama è tratta da un romanzo di Gor'kij che Pudovkin trasforma in un semplice intreccio, sul quale costruire il suo grande capolavoro. Il film, in cui è la struttura scandita da blocchi interagenti - il dominio del montaggio - e il ricorso a forti metafore visive a dominare su tutto il resto, è il muto per eccellenza. L'eroe, spesso dimenticato nella produzione più recente, si riappropria della scena; questa volta non indossa abiti borghesi, bensì quelli del nuovo cittadino sovietico, del proletario vincitore. Al pari di altri giovani registi russi, Pudovkin assimila l'insegnamento di Griffith e tenta di superarlo. Se nei film del grande regista americano, ogni taglio del montaggio ha lo scopo di creare l'atmosfera della scena e delineare i sentimenti e i caratteri dei personaggi, la nuova generazione russa pensa che lo scopo del cinema non sia solo quello di raccontare una storia, ma anche quello di suggerire conclusioni concettuali. Secondo Ejzenstein il vero limite nei pur grandi film del regista americano, consistevano nel non aver capito, da parte di quest'ultimo, il vero significato del montaggio.

    Secondo Pudovkin: "Se prendiamo in considerazione il lavoro del regista, appare chiaro che il materiale grezzo è rappresentato solo da spezzoni di celluloide sui quali sono state fissate le singole parti dell'azione, riprese da vari punti di vista. Solo da questi spezzoni sullo schermo si crea l'immagine che forma la rappresentazione filmica dell'azione ripresa. Di conseguenza, il materiale del regista non è costituito da cose reali che avvengono in uno spazio reale, ma da spezzoni di celluloide sui quali questi processi sono stati registrati. Durante il montaggio la celluloide è sottoposta interamente alla volontà del regista. Nel comporre la realtà filmica questi può eliminare tutti gli intervalli e così concentrare nella misura richiesta l'azione del tempo." Fin qui Pudovkin non fa altro che teorizzare, e dunque confermare, ciò che anche Griffith aveva fatto. La divergenza si presenta nel momento in cui il regista russo afferma che si può ottenere un continuum filmico più efficace mostrando una sequenza costruita solo da dettagli significativi. Dunque la cosa importante da fare non è tanto concentrarsi nel dare una continuità alla storia, quanto nel comunicare nuovi significati. Nel pensiero di Pudovkin è presente tutto l'insegnamento di Kulešov, del quale abbiamo parlato nel paragrafo precedente. Per capire meglio la differenza tra Griffith e Pudovkin nell'approccio filmico, è sufficiente notare come nei film del primo (...) l'elemento narrativo viene comunicato agli spettatori dal comportamento e dai gesti degli attori, mentre il secondo costruisce le scene partendo da una serie di dettagli accuratamente pianificati e ottiene l'effetto voluto dalla loro contrapposizione. (da La tecnica del Montaggio Cinematografico di Millar e Reisz - edizioni Tasco). Come Pudovkin stesso dirà: "Nel film La Madre, cercai di influenzare gli spettatori servendomi non tanto della recitazione psicologica dell'attore, quanto della sintesi ottenuta in fase di montaggio".

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    Pudovkin gira nel 1927 il suo secondo grande film, La Fine di San Pietroburgo, che parla del percorso verso la coscienza di classe di un contadino: dalle campagne, dal fronte, ai giorni dell'ottobre 1917 quando è protagonista dell'assalto fra i reparti rivoluzionari del Palazzo d'Inverno. Anche in questo caso i personaggi non sono caratterizzati dalle loro motivazioni psicologiche; la poetica di Pudovkin si esprime ancora una volta attraverso il montaggio.
    Nel 1928 Pudovkin realizza Tempeste sull'Asia. Un giovane cacciatore mongolo , Bair, offeso dai mercanti occidentali si fa partigiano. Gli inglesi lo catturano e decidono di usarlo come specchietto delle allodole trasformandolo in un re, l'ultimo erede di Gengis Khan. Il mongolo non accetta e trascina alla rivolta il suo popolo.
    Per alcuni critici questa pellicola rappresenta per Pudovkin il passaggio ad una fase di spettacolarizzazione manierista. Leggiamo da Il Cinema Russo e Sovietico di G. Buttafava (Biblioteca Bianco & Nero): "Terminare il film con l'erede di Gengis Khan ridivenuto partigiano che cavalca in mezzo a una tormenta allegoricamente totale, fra gli alberi che si piegano al vento, equivale a fare uso di un linguaggio ormai codificato, teso all'effetto "condizionato" come nei più commerciali film-spettacolo. Dalla vitalità rivoluzionaria degli inizi il "cinema di montaggio" è approdato alla maniera. Magari alla "maniera grande" di questo vibrante Pudovkin asiatico, ma pur sempre alla maniera, cioè alla convenzione."

    Fonte

    Teorie


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    Grande teorico del rinnvamento fu Viktor Šklovskij, che formulò la teoria dello straniamento (usata per esempio poi da Brecht nel teatro), dove un cambiamento improvviso del punto di vista nell'opera d'arte portava a nuove frontiere. Veniva presa come modello la mossa del cavallo negli scacchi, che è sempre angolare, trasversale, imprevedibile. Egli teorizzò anche il primato della forma nelle arti, dando origine alla grande scuola teorica del formalismo: ciò che contava non era il contenuto delle opere, ma la loro perfezione formale.

    Il cinema stesso, poiché arte giovane, veloce e versatile, ebbe un ruolo di primo piano nelle arti d'avanguardia. Majakovskij lo descriveva come un "atleta" e un "gigante", "malato perché il capitalismo gli ha gettato negli occhi una manciata di monete d'oro". Il riferimento era alla tendenza ormai marcatamente commerciale del cinema narrativo americano.

    I grandi cineasti russi della nuova stagione (Kulešov, Vertov, Eizenštein, Pudovkin, Dovženko) partirono tutti da un rifiuto verso lo spettacolo tradizionale, dove lo spettatore è un soggetto passivo e inerte, a favore di un cinema-festa, dove lo spettatore è continuamente stimolato dai cambiamenti e le nuove invenzioni.


    Il "cine-occhio"



    Dziga Vertov fu uno dei cineasti più sovversivi di questa epoca e nel 1925 lanciò la teoria del "cine-occhio": qualsiasi cosa che con gli occhi del quotidiano è banale e scontata, se guardata con l'occhio del cinema e del montaggio diventa qualcosa di nuovo, straniero, che genera sorpresa e meraviglia. Più che un regista Vertov fu un grande montatore, che arrivò a creare sequenze piene di poesia, di straniamento e di nuova percezione dello spazio urbano. Ne L'uomo con la macchina da presa, del 1929, filma un'intera giornata nella città di Mosca, la demolisce in tante sequenze e la ricrea come organismo vivo e pulsante. Manca qualsiasi narrazione, non c'è una storia, ma non c'è nemmeno l'intento didattico di un documentario: si tratta di un puro tessuto di immagini che genera poesia visiva. Tante sono gli espedienti retorici, dalle similitudini e le metafore (il risveglio di una donna montato in parallelo a quello della città stessa), agli ossimori, come il funerale montato con una scena di parto. Ma come è stato fatto notare, Vertov non è interessato a mostrare il mondo col cinema, ma a mostrare tutte le potenzialità del cinema attraverso il mondo come soggetto.


    Dovženko

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    Aleksandr Petrovič Dovženko usò il montaggio per creare grandi poemi sul lavoro umano e sulla lotta verso la libertà. La sua ricerca era più impostata sul passato che sul futuro, arrivando a cercare come modello gli autori classici quali Omero e Esiodo. La sua opera migliore La terra(1930) è un'epopea cinematografica ("cinepoema") sulla vita dei contadini di un paese, dove ogni novità (come l'arrivo di un trattore) era origine di sorprese e sconvolgimenti. Per filmare Dovženko necessitava di mesi, talvolta anni, di permanenza nei luoghi scelti a soggetto, riuscendo così a cogliere la continuità della vita nei cambiamenti del mondo, ma anche la variazione della vita nella continuità del mondo.



    Ejzenštejn

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    Ejzenštejn fu il regista che portò le idee sul montaggio al massimo sviluppo. Dopo aver lavorato in teatro con Mejerhol'd formulò la teoria delle attrazioni nel 1923, che l'anno successivo adattò al cinema, secondo il cosiddetto montaggio delle attrazioni. Con questo procedimento Ejzenštejn intendeva scuotere lo spettatore con una sorta di violenza visiva, che lo sollevasse dal torpore dell'assorbimento passivo della storia, suscitando emozioni e nuove associazioni di idee. Lo stesso anno girò Sciopero, dove montò pezzi brevissimi, spesso scelti tra inquadrature strane o incongruenti, ma sempre dure e violente, in maniera da rendere il clima di caos dell'evento rivoluzionario raffigurato. Nel montaggio delle attrazioni tutto è disordinato, incompleto, scomposto e lo spettatore deve fare uno sforzo attivo per ricomporre il senso della storia e dei personaggi: è la teoria degli stimoli, dove lo spettatore è stimolato nella sua immaginazione e lavora con l'intelletto completando le figure inquadrate magari parzialmente, le azioni mostrate solo in parte, ecc.

    Inoltre Ejzenštein era contrario alla linearità temporale, arrivando a invertire l'ordine di sequenze elementari (ad esempio mostrando prima una persona che cade, poi uno sparo, poi il grilletto di una pistola, generando un'ansia ed una paura maggiore rispetto ad una sequenza scontata, montata secondo l'ordine canonico.

    Un'altra significativa teoria fu quella del cine-pugno, che mirava a shockare lo spettatore, a colpirlo con le immagini, come primi piani improvvisi e molto ravvicinati, espressioni violente, azioni serratissime. Il capolavoro in cui Ejzenštein sperimentò queste teorie fu La corazzata Potemkin, soprattutto nella famosa scena della scalinata di Odessa, con l'arrivo improvviso dei soldati che sparano sulla folle, di straordinaria e terribile violenza.

    Col Manifesto dell'asincronismo (1928) Ejzenstein e Pudovkin arrivarono a sostenere la necessità di svincolare il commento sonoro dalle immagini, magari generando conflitti espressivi che possano scuotere lo spettatore.

    Nel 1929 Ejzenstejn, ormai già famoso a livello internazionale, pubblicò Oltre l'inquadratura, dove teorizzava il montaggio intellettuale, che poteva filmare le idee astratte, come strumento di riflessione filosofica al pari di un libro. Aderendo alla teoria formalismo di Slovski inventa la "drammaturgia della forma", dove il film è costruito sulla forma, arrivando a contrastare col contenuto ufficiale. Ma l'avvento di Stalin nel 1929 arrestò le nuove sperimentazioni, commissionando film a tema prestabilito e rifiutando con i fermenti d'avanguardia.

    Ejzenstein si trasferì per un periodo negli Stati Uniti e in Messico, dove girò un film incompiuto sulla rivoluzione messicana. Tornato in patria si ritrovò isolato dal regime, ma continuò a scrivere teorie sul montaggio e sulla messa in scena, sviluppando anche le implicazioni col sonoro (film come "musica per gli occhi", partitura musicale-visiva).


    Fonte
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    Salve a tutti sono Danilo, appassionato del cinema.
    Il mio regista italiano preferito è Pierpaolo Pasolini. Mentre quello oltreoceano è Hitchcock, the sir.
2 replies since 7/4/2007
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