Il posto

Ermanno Olmi - 1961

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    Francesca

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    Un film di Ermanno Olmi. Con Sandro Panzeri, Loredana Detto, Tullio Kezich, Sandro Panseri, Mara Revel Commedia, Ratings: Kids+16, b/n durata 105 min. - Italia 1961.



    Trama

    « Per la gente che vive nelle cittadine e nei paesi della Lombardia, intorno alla grande città, Milano significa soprattutto il posto di lavoro. »
    (scritta nei titoli di testa)


    Nel pieno del boom economico dei primi anni sessanta, un ragazzo di Meda, Domenico, partecipa ad una selezione di lavoro presso una grande azienda di Milano. Vive questo impegno con particolare apprensione a causa della famiglia, che si aspetta da lui che riesca ad ottenere il posto fisso con cui sistemarsi per tutta la vita.
    Nel corso delle prove a cui viene sottoposto con gli altri candidati, conosce Antonietta, che si fa chiamare Magalì, trascorre del tempo insieme a lei e nasce una timida intesa fatta di sguardi silenziosi e sorrisi. Vengono assunti entrambi, ma poi assegnati a sedi diverse: lei al reparto dattilografia, in sede centrale, lui al reparto tecnico, in una sede distaccata, e lì, in attesa che si liberi un posto da impiegato, deve accontentarsi di lavorare come fattorino. Ostacolato dai turni differenti, Domenico spera di riuscire a rivederla almeno al veglione di Capodanno organizzato dal dopolavoro aziendale, ma lei non si presenta.
    La morte di un impiegato infine libera il posto per lui, che può sistemarsi alla sua scrivania, in fondo ad uno stanzone in mezzo ad altri colleghi, indifferenti o addirittura ostili verso il nuovo arrivato, che riflette sulla vita che lo attende.

    Commento
    Olmi descrive con onestà e senso della realtà il mondo del lavoro, in un film che racconta «la presa di contatto di Domenico, ancora integro nella sua fresca disponibilità e intelligenza, col desolato, intristito, squallido mondo impiegatizio». Non fa dell'esplicita denuncia sociale, lascia che sia lo spettatore a riflettere su quale sia il prezzo, concreto e ideale, che il giovane dal volto malinconico e smarrito dovrà pagare per aver conquistato, senza nemmeno troppa fatica, quel posto fisso.
    Non si tratta solo di una storia individuale, ma della transizione epocale di un'intera società: «I miei primi film sono storie sulla povertà ma in cui c'è sempre un po' della storia del nostro paese. Il passaggio dalle società contadine a quelle operaie, o da queste alla nuova borghesia. Nel Posto lo si vede bene nella casa di Domenico, una cascina in cui non si lavora più la terra ed è diventata solo un dormitorio per gente che va a lavorare in fabbrica e in città. Tra poco in quelle stalle senza più animali avrebbero messo le Lambrette e le Seicento».
    Per il Dizionario Mereghetti, «un film antispettacolare che, con ironica levità, offre un quadro acuto della condizione piccolo-borghese nella Milano degli anni Sessanta, con attenzione e simpatia per il giovane protagonista.» (giudizio di tre stellette su quattro).
    Da confrontare, in un percorso sulla rappresentazione del mondo del lavoro nel cinema italiano, con Impiegati (1984) di Pupi Avati e Volevo solo dormirle addosso (2004) di Eugenio Cappuccio.

    Note
    *Gli attori protagonisti erano non professionisti. In particolare, Loredana Detto divenne la moglie di Olmi.
    *Nel ruolo di uno dei due esaminatori del "test psicotecnico" appare il critico cinematografico Tullio Kezich.
    *I palazzi dell'anonima azienda nel quale viene assunto il protagonista sono quelli della Edison, per la quale Olmi ha lavorato per buona parte degli anni cinquanta realizzando decine di documentari industriali.
    *Nel film viene anche mostrata piazza San Babila sventrata dai lavori per la costruzione della metropolitana milanese.

    CITAZIONE
    Il posto, secondo lungometraggio di Ermanno Olmi, contiene molti elementi tipici del suo cinema: una predilezione per gli ambienti rurali e suburbani, l'elogio della semplicità, le difficoltà del singolo nell'impatto con la società, l'innamoramento giovanile (quest'ultimo tema sarà centrale nel film successivo, I fidanzati, 1963). Olmi tratteggia con perizia il percorso di Domenico, questo giovane senza troppe qualità, dalla provincia sonnacchiosa alla metropoli frenetica, dove la rincorsa al benessere è appena cominciata. I cantieri aperti e i ritmi accelerati ricordano i film contemporanei di Michelangelo Antonioni ‒ La notte, 1961; L'eclisse, 1962‒ ma alla velocità operosa della catena di montaggio Olmi contrappone la pacatezza dei sentimenti, quell'aprirsi alla vita e alla scoperta delle emozioni che segue il goffo incedere dell'inesperienza. Nell'accostarsi alla lezione di Roberto Rossellini, con il quale Olmi condivide il senso del sacro e la ricerca di valori assoluti nella quotidianità, il regista lombardo non ha timore di apparire neorealista, anzi indugia sulle inflessioni dialettali, sui ballatoi e sulle promiscuità domestiche; indica pure il buco della serratura, emulando Cesare Zavattini, quando esplora le povere esistenze degli impiegati, ciascuno debole e fondamentalmente solo, o con un romanzo incompiuto nel cassetto. Di questi malinconici colletti bianchi noi scorgiamo appena le miserie, le piccole meschinità, le magre soddisfazioni.

    Rinunciando alla critica sociale esplicita, il regista fa uso di una cinepresa tranquilla ma penetrante, si sofferma sulla timidezza quasi patologica di Domenico e sull'intraprendenza di Antonietta-Magalì, esamina gli uffici e gli interminabili corridoi senza troppo condannare la struttura piramidale dell'impresa. Se i due giovani non si incontrano, non si trovano, forse non è solo colpa dei differenti turni di lavoro, quanto dell'incostanza della ragazza e dell'insicurezza del giovanotto. Le inquadrature ravvicinate dei loro volti, i silenzi espressivi che suggellano lo scambio crescente di sguardi, più che premessa di un amore mai nato sono l'emblema di una comunicazione immatura. L'appuntamento mancato al veglione di fine d'anno avvicina Il posto alla struggente solitudine dei primi film di Miloš Forman, e la cura descrittiva del salone da ballo semivuoto si lega idealmente alle scene che aprono La parmigiana di Antonio Pietrangeli (1963). Ma, con estremo realismo e competenza nel montaggio, la sequenza olmiana del ballo vibra di un crescendo emozionale che suggerisce ‒ qui risiede l'ottimismo dell'autore ‒ quanto ogni infelicità possa avere una via d'uscita.

    Dice il regista: "Oggi l'uomo rischia continuamente di essere sopraffatto dalla vita moderna, perciò credo che debba essere aiutato a sentirsi spiritualmente vivo. Per ottenere questo scopo bisogna 'cantare' il mondo del lavoro, dargli una giusta dimensione poetica".
    Il cinema morale di Olmi, dunque, promuove l'individuo anche attraverso l''umanità' del lavoro, pur se esso segue le regole della 'società per azioni', non di rado prevaricando le esigenze individuali. In tal senso, il trionfo della ritualità burocratica si ravvisa nel finale del film: nel silenzio luttuoso che accompagna la scomparsa di un impiegato, aspirante scrittore morto suicida, Domenico è invitato a prenderne il posto ma non la scrivania, che spetta al collega più anziano. Il ragazzo inizierà la carriera dall'ultimo banco, poiché nulla può cambiare ‒ come attesta la monotonia metallica del ciclostile ‒ nella inarrestabile giostra della vita.
    S. Todini, Treccani: http://www.treccani.it/enciclopedia/il-pos..._del_Cinema%29/

    Fonte: wikipedia

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